le life skills arrivano a scuola
Nel marasma dei provvedimenti legislativi scolastici emanati in questi ultimi decenni, ecco fare capolino una proposta di legge approvata l’11 gennaio 2022 dalla Camera dei Deputati. A partire dal prossimo anno scolastico entreranno a far parte dei programmi le cosiddette“life skills”
La scuola Italiana deve ancora ritrovar se stessa e si lancia in nuove sfide che di nuovo hanno davvero poco. Ci troviamo nuovamente di fronte a frasi d’effetto e neologismi che brillano anche grazie alla scelta della lingua inglese. Un po’ come quella del lasciapassare chesi è presentato al mondo italico come green pass.
Cosa sono le life skills?
Coscienziosità, apertura mentale, senso di efficacia, resilienza, capacità di risolvere i problemi, spirito critico, autodeterminazione, curiosità, simpatia, motivazione: queste sono alcune delle competenze trasversali e qualità caratteriali fondamentali per lo sviluppo e la formazione dell’individuo che entrerebbero a far parte di diritto nelle scuole di ogni ordine e grado.
Valentina Aprea, una collega delle primarie che ha fatto carriera politica mettendo la sua intelligenza a servizio di Forza Italia e della riforma Moratti, parla delle life skills come se fossero strumenti imprescindibili, come se fossero un tesoro nascosto da poco dissotterrato.
La novità sta nel fare entrare nel circuito della valutazione i tratti della personalità degli alunni. Come a dire: se sei simpatico farai il panettiere, se sei sensibile ti mandiamo a fare il giardiniere.
Le parole di Valentina Aprea
“La novità è che le competenze e qualità caratteriali, di per sé meno misurabili da un punto di vista meramente quantitativo rispetto ai contenuti delle abilità fondamentali, saranno inserite in modo sistematico, a pieno titolo e in modo valutativo nella scuola, tanto che è già prevista la formazione permanente dei docenti, utilizzando per la sperimentazione triennale i fondi del PNRR”
Perché è importante valutare le qualità caratteriali?
“Proprio perché in questo periodo (e parlo del lavoro) le imprese sono alla ricerca di team funzionali, cioè di squadre composte da individui con competenze diverse: ingegneri, matematici, chi si occupa di finanza, il marketing e tutti insieme a lavorare intorno a uno stesso tavolo per far nascere ed evolvere settori che richiedono conoscenze sempre nuove, ma soprattutto la capacità di lavorare in gruppo, di adattarsi, plasmarsi costantemente ai nuovi saperi scientifici, tecnologici ed economici che è molto diverso da essere competenti in una disciplina”
Da magister a coach
In tale prospettiva, in cui è l’economia a suggerire e orientare le politiche scolastiche, è ovvio che il docente avrà un ruolo completamente differente dal suo collega del Novecento. Non più magister ma ribattezzato, con un termine anglosassone preso in prestito dal mondo sportivo, coach. E come un coach, dovrà valutare l’allievo e i suoi progressi anche nella sfera molto delicata che ha a che fare con le abilità, gli atteggiamenti, il saper essere, ovvero le competenze trasversali e le qualità caratteriali appunto.
“L’attenzione si sposta sulla persona che apprende“, continua nell’intervista Valentina Aprea, ma appare chiaro l’obiettivo prioritario, non formare un cittadino capace di pensiero critico e divergente, piuttosto trasformarlo perché serve al mondo del lavoro.
I discenti saranno considerati esclusivamente merce da piazzare nel mondo del lavoro?
Non si correrà forse il rischio di togliere alla scuola il suo ruolo primario, cioè la trasmissione del bagaglio culturale che poi produce tutto nel tempo della vita e consente lo sviluppo delle risorse intellettuali e morali del discente?
Va forse vista in quest’ottica la riduzione nella scuola secondaria di secondo grado delle ore di storia e filosofia, discipline che il mondo economico non considera utili per i propri fini ma che in realtà hanno un alto valore formativo per i futuri cittadini?
Sarebbe interessante approfondire, inoltre, come mai la deputata sottolinei costantemente nell’intervista la frattura tra scuola del Novecento e scuola del Terzo Millennio, come se tutte le correnti pedagogiche e le relative esperienze educative e didattiche, sperimentate con successo nel corso del XX secolo, siano da rigettare e condurre all’oblio, invece che costituire un solido ponte per proiettare la scuola italiana nel futuro.