
Era mio padre
Come insegnanti e come cittadini non dovremmo perdere mai la memoria dei nostri padri, coloro che ci hanno permesso di vivere in un’Italia Libera e Democratica. Se non ne avessimo perso memoria crediamo, quasi con certezza, che non saremmo arrivati all’orrore che stanno vivendo i nostri figli, senza neanche rendersene troppo conto, purtroppo.
E questo non può che fare un gran male.
Pietro Calamanderi
Uno di questi padri è Pietro Calamandrei che negli ultimi tempi ricorre spesso nei nostri discorsi, ed è una forza per noi risentire le sue parole, ripercorrere il suo pensiero, riflettere sulle sue considerazioni.
Pietro Calamandrei fu grande giurista, politico e letterato.
Tra i fondatori del Partito d’Azione, fu membro della Consulta Nazionale e fece parte, all’Assemblea Costituente, della Commissione dei Settantacinque incaricata di redigere il testo della Costituzione della Repubblica.
Dovremmo andare tutti in pellegrinaggio nel luogo dove è nata la nostra Costituzione e andare nelle montagne dove caddero i partigiani, nelle carceri dove furono imprigionati, nei campi dove furono impiccati, dovunque è morto un italiano per riscattare la libertà e la dignità. Andare lì insieme ai nostri figli, perché lì è nata la nostra Costituzione.
Un viaggio metaforico
Il viaggio è metaforico, basterebbe riappropriarci della Costituzione Italiana e leggerla non tanto per leggerla e ripeterla come i pappagalli, ma cercando di prendere coscienza della fatica di chi viaggiol’ha scritta, sforzandoci di rievocare i volti dei padri fondatori e immaginare la strada da loro percorsa con fatica, sudore e sangue.
Un po’ come quando ci sforziamo di evocare immagini e ricordi e parole dei genitori che non abbiamo più e riusciamo, con un senso di infinita nostalgia e mancanza, a riconoscere il loro valore e la loro forza, che spesso ci capita di dimenticare o ci è capitato di non riconoscere.
Era il 26 gennaio 1955
Sentire la voce registrata di Calamandrei durante il discorso che egli fece agli studenti universitari di Milano il 26 gennaio 1955, nell’ambito di una serie di conferenze sulla Costituzione italiana organizzate nel salone degli Affreschi della Società Umanitaria, è una esperienza quasi mistica che vogliamo condividere il più possibile.
“Però, vedete, la Costituzione non è una macchina che una volta messa in moto va avanti da sé. La Costituzione è un pezzo di carta: la lascio cadere e non si muove. Perché si muova bisogna ogni giorno rimetterci dentro il combustibile, bisogna metterci dentro l’impegno, lo spirito, la volontà di mantenere queste promesse, la propria responsabilità. Per questo una delle offese che si fanno alla Costituzione è l’indifferenza alla politica, l’indifferentismo, che è, non qui, per fortuna, in questo uditorio, ma spesso in larghe categorie di giovani, è un po’ una malattia dei giovani, l’indifferentismo.
Quindi voi giovani, alla Costituzione dovreste dare il vostro spirito, la vostra gioventù, farla vivere, sentirla come cosa vostra, metterci dentro il senso civico, la coscienza civica, rendersi conto – questa è una delle gioie della vita – rendersi conto che ognuno di noi nel mondo non è solo, che siamo in più, che siamo parte di un tutto, nei limiti dell’Italia e del mondo”.